Pace Mediterraneo Europea

La Sardegna ha tutte le risorse e le carte in regola per essere terra di pace, capace di unire le sponde del Mediterraneo e i popoli che si affacciano su di esse come una sua grande artista recentemente scomparsa, Maria Lai, ha simbolicamente unito con un nastro azzurro, in una memorabile performance dell’8 settembre del 1981, le case del suo paese Ulassai, azzerando così decenni di incomprensioni e di inimicizie tra vicini e costruendo uno spazio delle relazioni tra tutti gli abitanti. Questo gesto simbolico, questa vocazione a tessere costruttivi rapporti di confronto e d’interscambio, proiettati da un paese dell’interno della Sardegna al bacino del Mediterraneo e al mondo intero, devono diventare il segno distintivo della politica della nostra Regione.

La cultura sarda, con gli artisti, i musicisti, i pittori, gli scultori, gli scrittori che ne sono i migliori interpreti, sa essere anche cultura della convergenza e dell’incrocio tra differenti linguaggi e stili di pensiero, cultura del dialogo e dell’interazione, cultura del rispetto reciproco e della mutua valorizzazione. Cultura di pace, dunque, che esprime in profondità il desiderio di accrescere, e non distruggere, le possibilità di vita e di benessere per tutti. La politica deve saper far propria quest’anima profonda della cultura sarda e assumere la pace come un obiettivo fondamentale da assumere e perseguire senza tentennamenti e compromessi di sorta.

E sono tanti gli esempi simbolici di questo impegno e di questo ruolo che la Sardegna, al centro del Mediterraneo, può svolgere verso tutte le popolazioni costiere dello splendido bacino che unisce Africa ed Europa e che avvicina l’Asia. Basti pensare innanzi tutto a Rossella Urru per il coraggio, la determinazione, la forza con cui ha saputo gestire il proprio drammatico sequestro e quel che è accaduto dopo la sua liberazione; ma anche a quanti con la creatività musicale – Paolo Fresu, Elena Ledda, Mauro Palmas, Antonello Salis, solo per citarne alcuni – costruiscono dei ponti e abbattono muri tra le culture che si affacciano tutte sullo stesso mare.

Questi e i tanti altri esempi che potrebbero essere citati sono una conferma della validità e dell’attualità della linea strategica proposta da Paolo Fadda, storico e studioso cagliaritano, nel suo recente libro “Da Karel a Cagliari”, riassunta nella rappresentazione di una “Cagliari città d’acqua”, che punta sui suoi stagni e soprattutto sul mare come nuova opportunità di sviluppo. E a questo proposito egli richiama espressamente “la nuova centralità assunta dal Mediterraneo per l’emergere di nuove potenzialità e aspirazioni economiche fra i popoli rivieraschi” e sottolinea che questa situazione “fa ben sperare che il mare ritorni a essere la locomotiva trainante del progresso cittadino”.

Non solo la città di Cagliari, ma anche la Sardegna nel suo complesso può giovarsi di una strategia mirante a “riconquistare il mare”, il Mediterraneo in particolare.

«Che cos’è il Mediterraneo? Mille cose al tempo stesso. Non un paesaggio, ma innumerevoli paesaggi. Non un mare, ma una successione di mari. Non una civiltà, ma più civiltà ammassate l’una all’altra».

«… il Mediterraneo non si è mai rinchiuso nella propria storia, ma ne ha rapidamente superato i confini» su tutti i quattro punti cardinali. Anzi, la caratteristica più evidente del destino del Mare Internum è l’essere inserito nel più vasto insieme di terre emerse del mondo», nell’insieme, cioè, del «gigantesco continente unitario» euro-afro-asiatico: «un pianeta – dice Braudel – per se stesso, dove tutto ha circolato precocemente». Nei «tre continenti saldati insieme» gli uomini hanno trovato «il grande scenario della loro storia universale»; e «là si sono compiuti gli scambi decisivi».

Il Mediterraneo sono .. delle strade. Strade per mare e per terra. Collegate. Strade e città. Grandi, piccole. Si tengono tutte per mano. Il Cairo e Marsiglia, Genova e Beirut, Instanbul e Tangeri, Tunisi e Napoli, Barcellona e Alessandria, Palermo e …” (J.C. Izzo)

La Sardegna, piattaforma adagiata su questo spazio, assume questa identità pre storica. Per una necessità “geografica”. Una specificità ad alta connotazione semantica che ne può rompere l’insularità nella sua accezione di isolamento.

Percepirsi come nodo di un infinito dipanarsi di attraversamenti, reali e potenziali, ha a che fare con la nozione di posizionamento. Posizionamento geostrategico. E, come è noto, la consapevolezza dinamica di sé costituisce un presupposto nella costruzione della relazione con l’altro.

In un mondo in cui sempre più si verticalizzano i luoghi del potere reale, FMI, BCE, Commissione Europea, tanto che anche per gli Stati nazione si parla di sovranità limitata, nel difficile gioco di pesi e contrappesi che orientano e determinano le scelte continentali, bisogna avere una strategia chiara di posizionamento.

Una strategia chiara per un traguardo altrettanto chiaro.

E naturalmente in questa chiave entra in gioco la dimensione dell’Europa, il cui processo di unificazione sin troppo sbilanciato sulle dinamiche economico – finanziarie, sta producendo un depotenziamento di quell’idea che nei decenni scorsi si era faticosamente affermata grazie alla doppia energia, della visione di futuro degli illustri padri costituenti da un lato e dell’aspirazione di pace dei popoli dall’altro.

Dobbiamo certamente aprirci all’Europa, ma dobbiamo contribuire ad aprire l’Europa. Ma dobbiamo in primo luogo recuperare lo spirito originario del Sogno Europeo: un sogno che si basa maggiormente sulle relazioni comunitarie piuttosto che sull’autonomia individuale, sulla valorizzazione delle diversità culturali piuttosto che sull’assimilazione ad un unico modello identitario, su un’idea di sviluppo che è assimilabile ad un’idea collettiva di progresso, dove l’attenzione per chi resta indietro è stata forte caposaldo di tenuta delle comunità attraverso i vari e comunque generosi sistemi di welfare. Ma forza costituente di quel sogno è proprio il senso di apertura all’esterno. Non si è europei in virtù di una comune appartenenza ad un territorio geografico, ad una confessione, ad una lingua. L’identità molteplice dell’Europa consente di inquadrarla come una categoria dinamica a geometria variabile; del resto l’UE è nella realtà un’istituzione di governo extraterritoriale. E questo la rende unica. E le procedure di accettazione di nuovi stati membri sono svincolate dal principio di unità territoriale. Questo rende potenzialmente l’Europa un’istituzione di natura aperta ed inclusiva.

E il Mediterraneo rappresenta senza dubbio uno di queste identità molteplici.

In questo senso non possiamo non cogliere i segnali che dallo spazio mediterraneo giungono come chiaro invito a rivedere le politiche continentali.

C’è una vera faglia che attraversa lo spazio mediterraneo da ovest ad est. Dalla Spagna degli indignados, alla Francia sud pericolosamente inclinata su posizioni antieuropee, populiste e xenofobe, l’Italia della crisi che attraverso la tornata referendaria del 2011 predispone una risposta di popolo alle politiche rigoriste, la cosiddetta primavera araba che ha attraversato e continua ad attraversare la sponda sud del mediterraneo con esiti tuttora incerti, sino alle turbolenze rilevanti e di natura diversa che incombono su paesi come la Grecia e la Turchia per finire con la situazione Siriana e la sempre presente questione israelo – palestinese.

E di questa faglia che minacciosamente si allarga ci parla la strage che puntualmente si compie nel nostro mare, a ridosso delle nostre coste. Con lo scandalo di cultura e di civiltà che è costituito dalla dinamica del permesso di soggiorno. Laddove precipita tutto il combinato dell’esclusione: l’esclusione dai diritti, l’esclusione dal pane, l’esclusione dalla democrazia.

Il Mediterraneo rappresenta oggi la vera emergenza dell’Europa che, colpevolmente distoglie lo sguardo. “Il mare della comunicazione diventa il mare della segregazione” (Morin – Ceruti). E’ la sfida della complessità, perché il Mediterraneo è complessità.

Si tratta di dare vita a un nuovo paradigma economico, culturale ed energetico per aprire l’Europa al Mediterraneo.

E in questa chiave riteniamo che la Sardegna possa riscoprire e valorizzare una propria valenza strategica

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