Pace

La pace non può essere soltanto un auspicio o una formula retorica. Nel bellissimo saluto francescano “pace e bene” la pace viene giustamente presentata come il presupposto, la condizione necessaria, anche se non sufficiente, del bene. E anche della giustizia, secondo la millenaria sapienza umana espressa da Isaia, 700 anni prima di Cristo: «frutto della giustizia sarà la pace» (Is 32, 17). Non la pace come premessa, ma come conseguenza della giustizia, del riconoscimento e attuazione dei bisogni e dei diritti di ogni uomo nelle sue diversità di genere, di opinione politica, di fede religiosa, di condizione sociale ed economica (art. 3 della Costituzione italiana). Tenendo sempre presente il significato più profondo di pace che muove ogni nostra azione, ogni nostra decisione personale, collettiva e politica.

Così continua il profeta: «allora il deserto diventerà un giardino e il giardino sarà considerato una selva. Nel deserto prenderà dimora il diritto e la giustizia regnerà nel giardino». (Is 32, 15-16).

La Sardegna, oggi, è terra di pace? Vorremmo fortemente che fosse così, ma così non è dal momento che questa nostra terra è attualmente violentata nelle sue viscere per bramosia di denaro (guardate le miniere d’oro di Furtei), estorta alla sua naturale vocazione agricola e di convivenza armoniosa con la natura per diventare la regione d’Italia più intensamente votata alla guerra nel suo territorio. Una regione dove ogni giorno si sperimentano armi mortali, del tutto anacronistiche, che rubano le nostre terre migliori e le devastano, causando la contaminazione e la morte della natura, degli animali e degli uomini.

Come non reagire alla militarizzazione della nostra Madre Terra, devastata da un’industria bellica che sottrae investimenti per politiche attive di pace? Come possiamo ancora sopportare noi Sardi, in un silenzio complice e irresponsabile verso le generazioni future, le attività dei poligoni, le mancate bonifiche, le risorse economiche sottratte allo sviluppo culturale, alla scuola, alle politiche sociali, al lavoro? Come tollerare ancora altre spese – oltre 20 miliardi di euro – nel folle piano di acquisto dei bombardieri F-35 da sperimentare anche in Sardegna al solo scopo di offesa, con la nostra complicità di Sardi, calpestando l’art. 11 della nostra Costituzione?

Una politica attenta alla pace non può non proporsi come obiettivo la smilitarizzazione del territorio, o parlare di pace è ipocrisia. Solo così si può fare della nostra terra un luogo di non-violenza e passare, come ci insegnò Aldo Capitini negli anni del suo operare in Sardegna, dalla u-topia (non-luogo) di pace alla eu-topia, dunque a un buon-luogo, un luogo che sia realmente di pace, di benessere, nel rispetto della dignità di ogni Sardo e di tutta l’umanità.

Fare della pace uno dei cardini di un progetto politico e culturale significa cominciare a chiedersi, con Isaia: «Sentinella, quanto resta della notte?» (Is 21, 11). Noi sentinelle… insieme agli ultimi per superare l’indifferenza, per ridare speranza ai senza rotta, ai senza tetto, ai senza senso, uscendo dall’indifferenza del quieto perbenismo per «graffiare» una politica omologata agli interessi di partito e piegata ai calcoli di casta. Per trasformare l’armarsi in amarsi, sviluppando l’energia vitale che ci tiene in vita e ci realizza nella nostra umanità.

La Pace praticata anche liberando dalle esercitazioni di tiro vastissimi tratti di mare come la costa di Teulada o quella Ogliastrina, perché i pescatori possano svolgere regolarmente il loro lavoro e perché ci si possa riappropriare di paradisiaci porzioni di territorio. La pace per smetterla, una volta per tutte, con il brutale inquinamento di vastissimi spazi e le conseguenti ricadute nocive se non letali per le popolazioni e gli animali, come ci è testimoniato dalle tragiche conseguenze che l’uso delle armi ha causato nel poligono interforze di Perdasdefogu, conseguenze su cui la magistratura sta conducendo una difficilissima inchiesta.

Pace dunque come obiettivo, senza se e senza ma. Via subito e senza condizioni tutte le servitù militari, proposta che potrebbe risultare rischiosa nel breve periodo, perché molti cittadini credono, con un calcolo miope, che dalle servitù possano arrivare alle loro comunità vantaggi economici. Dire no alle servitù significa anche chiedere simultaneamente a chi ha inquinato per decenni con proiettili, bombe, flotte, bombardieri, un poderoso sforzo di risanamento delle aree prese di mira. Il risanamento ambientale rappresenterà, oltre che un dovere riparatorio di tutto l’Occidente verso la Sardegna per gli enormi danni alla Terra e al Mare, una poderosa opportunità economica. La nostra isola ha il diritto di presentarsi al Mondo come terra di bellezza e pace.

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